Una mano può accarezzare, minacciare, sostenere , picchiare, creare o addirittura uccidere. Con la mano l’uomo si esprime e manipola il mondo. In questo mural viene raffigurata un lotta tra tante e diverse mani che tentano di raggiungere un ipotetico piatto, non visibile perché fuori dalla scena. Solo una di queste possiede il mezzo per cibarsi: la forchetta… questo rende il tutto ancora più competitivo. Abbiamo cercato di mettere in forma frustrazione, ansia, paura ed incertezza riguardo il futuro, in un muro che vuole essere lo specchio del nostro tempo. L’ immagine metaforica ha l’intento di rappresentare, per utilizzare il termine del filosofo Sudcoreano Byung-Chul Han, “la società della stanchezza”, cioè una società positiva, atomizzata dall’individualismo e ultracompetitiva. “La società disciplinare” descritta da Faucolt, fatta di ospedali, manicomi, prigioni, caserme e fabbriche, ha cominciato a sgretolarsi con le prime picconate date al muro che una volta divideva le due Germanie. “La società del XXI secolo” non è più una “società disciplinare” ma è una “società della prestazione” completamente diversa, fatta di fitness center, grattacieli , uffici, banche, centri commerciali. I suoi cittadini non si dicono più soggetti di obbedienza ma soggetti di prestazione, imprenditori di se stessi. Se la società disciplinare era negativa, determinata cioè dalla negatività del divieto, dal “non potere”, quella della prestazione si sottrae sempre di più alla negatività. Essa è abolita proprio dalla crescente deregolamentazione, dal “ poter fare” , ed il suo plurale collettivo è “ Yes we can”. Se la negatività della prima produce pazzi e criminali la seconda, positiva, genera soggetti depressi e frustrati.
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